La perovskite verso l’industrializzazione

Il fotovoltaico a perovskite fa un passo verso la standardizzazione per le misure di stabilità e quindi verso l’industrializzazione

Tre ricercatori del CHOSE-Polo Solare organico della Regione Lazio, presso il Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell’Università di Roma Tor Vergata (Prof. Aldo Di Carlo, Prof. Francesca Brunetti, Dr. Francesca De Rossi) hanno fatto parte di un team di scienziati che si è occupato di raggiungere un consenso per definire le procedure per valutare e riportare le misure di stabilità effettuate sul fotovoltaico a perovskite, la nuova tecnologia che ora è al centro della ricerca sull’energia solare. Questo lavoro è evidenziato nell’articolo appena apparso in Nature Energy (https://rdcu.be/b0DiV) e nell’ Editorial (https://www.nature.com/articles/s41560-020-0552-6 ).

Come affermato nell’editoriale “ Perovskites take steps to industrialization “: “Fino ad ora, la comunità che si occupa di studiare le celle solari a perovskite, non aveva raggiunto un accordo nell’identificare test chiave che potessero individuare le cause specifiche del mal funzionamento per le celle solari a perovskite (PSC), che sono sia la causa che la conseguenza della limitata comprensione del deterioramento dei dispositivi. “Per questo motivo questo documento, frutto della collaborazione di 59 ricercatori di particolare rilevanza aventi 51 affiliazioni differenti, è di particolare rilevanza, poiché tratta i modi con cui la stabilità delle celle solari a perovskite dovrebbe essere valutata e riportata. La comunità scientifica che si occupa di celle solari a perovskite ha iniziato il proprio dibattito ispirata dal lavoro fatto dai colleghi che su celle fotovoltaiche organiche, che nel 2011 hanno sviluppato le raccomandazioni per valutare la stabilità dei loro dispositivi (i cosiddetti protocolli ISOS). Il Prof. Eugene A. Katz, dell’Università di Ben-Gurion del Negev (BGU), attualmente Visiting Professor presso i laboratori del CHOSE-Polo Solare organico della Regione Lazio, e la Prof. Monica Lira-Cantu del Catalan Institute of Nanoscience and Nanotechnology (ICN2) hanno avviato una tavola rotonda, che ha originato questo lavoro, sulla valutazione della stabilità dei PSC in occasione 11th International Summit on Organic and Hybrid Photovoltaics Stability tenutosi in Cina nell’ottobre 2018. Gli esperti hanno integrato i protocolli esistenti con una serie di procedure di prova che tengono conto caratteristiche specifiche delle celle solari a perovskite. L’ applicazione di tali protocolli dovrebbe fungere da fase intermedia nella maturazione della tecnologia a PSC, poiché consentirà l’identificazione delle cause di degrado di tali dispositivi e fornirà le prospettive per la loro mitigazione. Questo documento è il risultato finale del progetto COST Stablenextsol di cui Lira-Cantu è stata la coordinatrice e Katz e Brunetti sono stati leader di Work package. Anche se questo articolo rappresenta un importante passo in avanti nella ricerca nel campo delle PSC, c’è ancora del lavoro da fare per standardizzare le misure di stabilità delle PSC, e questo rappresenterebbe l’ultimo passaggio per passare da un’attività di laboratorio ad una di tipo industriale.

 

Riferimento:

Mark V. Khenkin, Eugene A. Katz, et. al., Mónica Lira-Cantú. Consensus Statement for Stability Assessment and Reporting for Perovskite Photovoltaics based on ISOS Procedures. Nature Energy, 5, p. 35–49 (2020) http://dx.doi.org/10.1038/s41560-019-0529-5

 

Pubblicato su Nature Materials studio Chose su aumento efficienza celle solari con composti di carburo di titanio

Rappresentazione illustrativa dello strato fotoattivo di perovskite modificato con gli MXeni

Gli scienziati del centro CHOSE dell’Università di Roma Tor Vergata insieme ai partner di NUST MISIS (Russia) e CNR (Italia) hanno scoperto che una quantità microscopica di carburo di titanio bidimensionale, chiamata Mxene, migliora significativamente la raccolta di cariche elettriche in una cella solare a perovskite, aumentandone l’efficienza finale oltre il 20%. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Materials.

La cella solare a film sottile di perovskite è una nuova promettente tecnologia fotovoltaica, che viene attivamente sviluppata in tutto il mondo come alternativa a quelle già commercializzate. Tra i tanti vantaggi, i semplici processi di produzione a basso costo: le celle solari a perovskite possono infatti essere realizzate con speciali stampanti a getto d’inchiostro, senza l’uso di processi ad alta temperatura o di alto vuoto, comunemente usati per le tradizionali celle al silicio. Un ulteriore vantaggio è la possibilità di fabbricazione su substrati di plastica flessibili, come il polietilentereftalato comune (PET). Questo permette l’integrazione del fotovoltaico a perovskite negli edifici su pareti e / o in diverse altre posizioni, come facciate e finestre curve.

Lo sforzo congiunto della comunità scientifica internazionale si focalizza nel trovare la migliore strategia per aumentare sia l’efficienza che la stabilità di questa nuova tecnologia fotovoltaica. La maggior parte delle soluzioni proposte finora riguardano l’ottimizzazione della composizione chimica della perovskite, la stabilizzazione delle interfacce dei dispositivi e l’integrazione di nuovi nanomateriali.

Un team internazionale di scienziati, guidati dal prof. Aldo Di Carlo, provenienti dal Center for Hybrid and Organic Solar Energy (CHOSE) dell’Università di Roma Tor Vergata, dal NUST MISIS, Russia e dal CNR, hanno proposto un approccio originale per progettare celle solari a perovskite altamente efficienti, basato sul drogaggio dello strato foto-attivo di perovskite con composti bidimensionali in carburo di titanio, chiamati MXeni.

“Abbiamo scoperto che gli MXenes, grazie alla loro struttura bidimensionale unica nel suo genere, possono essere utilizzati per ottimizzare le proprietà superficiali della perovskite, consentendo una nuova strategia di ottimizzazione per queste celle solari di III generazione”, commenta il professor Di Carlo.

La cella solare a film sottile di perovskite ha una struttura a sandwich, in cui le cariche si spostano da uno strato all’altro attraverso le interfacce e si raccolgono selettivamente agli elettrodi. In questo modo la luce solare viene convertita in corrente elettrica. In termini semplici, l’incorporazione degli MXeni all’interno della struttura, migliora il trasporto degli elettroni dal film assorbitore agli elettrodi, riducendo drasticamente le perdite eventualmente indotte da barriere energetiche interne.

“Per migliorare l’efficienza delle celle solari a perovskite, dobbiamo ottimizzare la struttura del dispositivo, in particolare le interfacce e le proprietà di trasporto di carica di ogni singolo strato.” – Antonio Agresti, uno degli autori, ricercatore presso Università di Roma Tor Vergata – “A questo scopo, insieme ai nostri colleghi moscoviti, abbiamo eseguito una serie di esperimenti incorporando una microscopica quantità di MXeni nella cella solare a perovskite. Di conseguenza, abbiamo ottenuto un aumento dell’efficienza dei dispositivi di oltre il 25% rispetto ai prototipi originali.”

Gli MXeni sono stati introdotti sequenzialmente nei diversi strati della cella solare di perovskite: nello strato foto-assorbente, in quello di trasporto di elettroni a base di biossido di titanio e all’interfaccia tra di essi. Dopo aver analizzato le prestazioni fotovoltaiche dei dispositivi, si è scoperto che la configurazione più efficiente è quella in cui gli MXeni sono introdotti in tutti gli strati, inclusa la loro interfaccia. I risultati sperimentali sono confermati da un’adeguata modellizzazione delle strutture ottenute.

L’unicità di questo lavoro consiste nel descrivere, per la prima volta, non solo una serie di esperimenti e i risultati ottenuti, ma anche nel fornire una chiara spiegazione dal punto di vista fisico-chimico dei meccanismi che si verificano nella cella solare a perovskite modificata con gli MXeni.

“La possibilità di utilizzare in modo semplice questi nuovi materiali bidimensionali, modificando le proprietà elettro-ottiche degli strati che formano un dispositivo elettronico in base a specifiche esigenze di progettazione,” – Sara Pescetelli, uno degli autori dell’Università di Roma Tor Vergata – “può ispirare architetture innovative per celle solari altamente efficienti o per altri dispositivi come LED e rilevatori basati sulla perovskite. ”

Attualmente, il team sta cercando di stabilizzare il dispositivo ottenuto e di aumentarne l’efficienza.

7-8/11 – corso introduttivo sul metodo “Density functional Tight Binding (DFTB)”

Mercoledi 7 e giovedi 8 novembre, dalle 14:00 alle 15:45 in Aula B9, il Prof Gotthard Seifert della TU-Technische Universität di Dresda terrà un corso introduttivo sul metodo “Density functional Tight Binding (DFTB)”. Il prof. Seifert e’ uno dei massimi esperti in DFTB e attualmente Visiting Professor presso il  Dipartimento di Ingegneria elettronica.

Per ulteriori informazioni, è possibile contattare il prof. Matthias Auf der Maur, Ph.D.
Dipartimento di Ingegneria Elettronica
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Via del Politecnico 1, 00133 Roma
Tel.: +39 06 7259 7781
Web : http://www.optolab.uniroma2.it

 

Tight-binding Density Functional Theory (DFTB) – an approximate Kohn-Sham DFT scheme
prof. Gotthard Seifert, Theoretische Chemie, Technische Universität Dresden

The DFTB method as an approximate KS-DFT scheme with an LCAO representation of the KS orbitals can be derived within a variational treatment of an approximate KS energy functional given by second-order perturbation with respect to charge density fluctuations around a properly chosen reference density. But it may also be related to cellular Wigner-Seitz methods and to the Harris functional. It is an approximate method, but it avoids any empirical parametrization by calculating the Hamiltonian and overlap matrices out of a DFT-LDA-derived local orbitals (atomic orbitals – AO’s) and a restriction to only two-centre integrals. Therefore, the method includes ab initio concepts in relating the Kohn-Sham orbitals of the atomic configuration to a minimal basis of the localized atomic valence orbitals of the atoms. Consistent with this approximation the Hamiltonian matrix elements can strictly be restricted to a two-centre representation.
Taking advantage of the compensation of the so called “double counting terms” and the nuclear repulsion energy in the DFT total energy expression, the energy may be approximated as a sum of the occupied KS single-particle energies and a repulsive energy, which can be obtained from DFT calculations in properly chosen reference systems.
This relates the method to common standard “tight-binding -TB” schemes, as they are well known in solid state physics. This approach defines the density-functional tight-binding (DFTB) method in its original (non-self-consistent) version. Its further development – e.g. including self-consistency – as well as the aspects of the computational realization and accuracy will be discussed. Finally, several examples for applications of the DFTB method will be shown.