Cerotti 4.0: sulla nostra pelle la realtà aumentata

Dalla misurazione della febbre, alla misurazione della temperatura di ciò che tocchiamo; dall’analisi delle sostanze chimiche intorno a noi fino all’analisi del respiro: il supporto adesivo sulla pelle umana può ospitare antenne e strumenti altamente tecnologici che comunicano in modalità wireless con altra strumentazione avanzata per analizzare l’ambiente circostante, monitorare parametri biologici essenziali e difenderci. Grazie anche al progetto RadioSkin.

Il gruppo di ricerca del prof. Gaetano Marrocco, docente di Tecnologie Elettromagnetiche per Sistemi Wireless, Radio Sistemi Medicali e Progettazione Avanzata di Antenne, nella facoltà di Ingegneria dell’università di Roma “Tor Vergata”, ha sviluppato, anche grazie al progetto RadioSkin, sofisticati strumenti ‘indossabili’ studiati proprio per poter completare con successo l’ “ultimo metro” della Internet of Things soprattutto nei campi della salute, della medicina e della diagnostica.

Sono state progettate e realizzate pellicole adesive ultratecnologiche che incorporano sensori e antenne. Si trasformano esse stesse in strumenti di rilevamento e sono silenti finché non sono vicine allo strumento che permette di leggere i dati rilevabili: accostando loro un lettore, anche integrabile in uno smartphone, questo le alimenta in modalità wireless tramite i propri campi elettromagnetici e legge i dati memorizzati nella loro memoria.

Sono radio-sensori basati sulla tecnologia di Identificazione a Radiofrequenza (RFID): gli stessi patch anti-taccheggio che già troviamo nei libri, nelle etichette dei vestiti come evoluzione dei codici a barre. Ma ora diventano in grado di ‘sentire’ l’ambiente in modo discreto ed economico.

L’ultimo progetto riguarda un cerotto da applicare sotto il naso con cui poter monitorare da remoto la frequenza del respiro e poter vedere quando ad esempio ci troviamo nelle apnee notturne. Questo progetto ha permesso alla dottoranda Maria Cristina Caccami di vincere il premio Best Student Paper alla EUCAP 2017 – European Conference on Antennas and Propagation (Paris).

Secondo il prof Marrocco, che ha fondato lo spin-off RADIO6ENSE (http://www.radio6ense.com), questo è “il primo dispositivo flessibile, bio-compatibile e non invasivo per il monitoraggio wireless del respiro capace di integrare un sensore composto di un nanomateriale, l’ossido di grafene che, come è ben noto, data la sua natura igroscopica, offre vantaggiose capacità di sensing per potenziali applicazioni biomediche”.

 

Un cerotto per il respiro.

Respirare è un atto fisiologico e naturale che compiamo di continuo e che garantisce il necessario apporto di ossigeno per la nostra sopravvivenza. Sebbene la respirazione sia comunemente vista come una semplice funzione autonoma, l’insorgenza di condizioni cliniche e patologiche, spesso a carico del sistema nervoso centrale (SNC), oppure stati di eccitazione eccessiva o stress, come alcuni tipi di attacco di panico, possono causare l’alterazione del fisiologico susseguirsi degli atti respiratori e soprattutto della frequenza.

L’analisi del respiro rappresenta un utile indicatore dello stato di salute di una persona, ricoprendo un ruolo importante nella gestione clinica di malattie responsabili dell’alterazione della dinamica respiratoria. In particolare, il monitoraggio della frequenza e dei pattern respiratori sia nel caso di individui sani o in stato di stress, che nel caso di pazienti affetti da quadri clinici tali da compromettere le capacità funzionali dell’apparato respiratorio, consente non solo l’identificazione e la diagnosi precoce di complessi quadri sindromici come la sindrome ostruttiva delle apnee notturne, l’arresto cardiaco, l’asma o la malattia polmonare ostruttiva cronica, ma anche la caratterizzazione e classificazione di nuovi disordini respiratori.

Inoltre, tecniche di monitoraggio basate sull’identificazione di biomarkers e composti volatili organici nel respiro esalato possono essere considerate un approccio promettente in quanto permettono di monitorare in maniera non invasiva lo stato di infiammazione delle vie aeree o di infezioni, come la polmonite associata a ventilazione (VAP) e il cancro ai polmoni, nonché valutare gli obiettivi delle moderne terapie nei trial clinici.

Le convenzionali metodiche di monitoraggio sono tuttavia costose e non confortevoli in quanto richiedono generalmente l’inserimento di sonde e cannule nasali nonché l’utilizzo di attrezzature ingombranti e scomode come ad esempio strette fasce toraciche all’interno delle quali sono integrati i sensori di respirazione. Inoltre, la presenza dei cavi per permettere la connessione ai sistemi di acquisizione dei dati e la complessa circuiteria rendono difficoltoso l’uso prolungato di tali dispositivi necessario ai fini di un monitoraggio continuo.

I successivi passi della ricerca prevedono l’integrazione del sistema in un comune cerotto nasale anti-russamento e la funzionalizzazione chimica e biologica dell’ossido di grafene attraverso il legame di molecole target alla struttura reticolare del nanomateriale, allo scopo di analizzare la composizione chimica del respiro esalato dall’organismo affiancando esami più tradizionali nell’identificazione di particolari patologie o nella rilevazione di sostanze dopanti.

Un esempio di applicazione è visualizzatile all’indirizzo:

https://www.youtube.com/watch?v=cEbpfayG38c

 

Un cerotto come pelle umana.

Un device tecnologico può aiutare nel caso di poca sensibilità della pelle. La pelle umana è la primaria interfaccia d’interazione bidirezionale dell’uomo con l’ambiente circostante, continuamente campionata dal sistema nervoso centrale che convoglia flussi di dati dall’interno del corpo verso l’ambiente esterno e viceversa.

La pelle include un complesso sistema di sensori in grado di acquisire non solo segnali sulla forma e la consistenza di un oggetto, ma anche di sentire il calore dello stesso e calibrare le modalità della propria interazione con l’ambiente circostante.

In alcuni casi la sensibilità periferica degli arti è però minata da disturbi neurologici (Neuropatia Periferica) causati da danni alle vie nervose responsabili per la ricezione, la trasmissione o l’elaborazione di stimoli esterni quali il tatto ed il calore. Il deterioramento della sensazione del calore ha un rilevante impatto sull’esecuzione delle operazioni più comuni che richiedono di discriminare la temperatura delle cose quotidiane (piatto, ferro da stiro o acqua del bagno). Questa sofferenza funzionale può anche provocare gravi ustioni.

Nell’era dei Dispositivi Wearable, dell’Elettronica Bio-integrata e della Scienza dei Dati, i tempi sono maturi per ipotizzare un’interfaccia elettronica che espanda e/o ripristini le naturali capacità della pelle umana di interagire con il mondo esterno. Tale interfaccia potrebbe acquisire gli stimoli provenienti dal mondo esterno, quantificarli e produrre un supporto informativo di rapida comprensione per l’utente. Avrà la possibilità di stabilire corrette e addirittura nuove interazioni con gli oggetti superando eventuali limitazioni fisiche ma anche espandendo le potenzialità dei normali sensi tramite una ultra-abilità (Ultrability) sensoriale.

Questa dotazione tecnologica deve però essere mininvasiva e non aggiungere complessità funzionale alle normali azioni compiute dalla persona. In altri termini bisogna evitare collegamenti con cavi e realizzazioni che siano percepibili come una dimensione protesica ingombrante e, potenzialmente, discriminante.

È stato messo a punto Il sistema RADIOFingerTip per integrazione sui polpastrelli delle mani (presentato al congresso internazionale IEEE RFID 2017 IEEE Radiofrequency Identification a Phoenix), inizialmente concepito come ausilio per il ripristino della sensibilità periferica in pazienti deafferentati. Questi soggetti, mancando di sensibilità tattile vivono le normali attività quotidiane, quali regolare la temperatura della doccia, toccare inconsapevolmente un oggetto bollente, sfiorarsi la pelle per percepire se si è bagnati o assaggiare una pietanza calda, come situazioni potenzialmente molto pericolose. Questa disabilità può infatti causare ustioni di diverso grado, provocando danni persino irreversibili e comunque notevole disagio sociale.

Il sistema è composto di due moduli progettati per garantire vestibilità, basso impatto estetico e per non essere d’intralcio nei movimenti quotidiani: un piccolo radar indossato a mo’ di braccialetto che interroga un radio sensore privo di batteria, aderente al polpastrello, che a sua volta esegue una rapida misurazione in tempo reale della temperatura dell’oggetto. I primi test hanno dimostrato che è sufficiente appena mezzo secondo contatto per stimare con l’accuratezza di un paio di gradi la temperatura reale dell’oggetto.

In base al valore rilevato, il lettore potrà poi generare uno stimolo acustico o visivo per avvertire l’utente di eventuali pericoli, nonché per fargli comunque percepire la fisicità dell’oggetto. In questo modo i danni associati all’ipoestesia potranno essere radicalmente ridotti con conseguente beneficio per la qualità della vita dell’utente.

Il sistema RadioFingerTip, messo a punto durante la tesi di laurea magistrale in Ingegneria Medica dell’Ing. Veronica de Cecco, nell’ambito del progetto di ricerca RadioSkin finanziato dall’Università di Roma Tor Vergata, è attualmente in fase di perfezionamento e verrà presto dotato di altri sensori per acquisire la pressione del tatto ma anche il pH degli oggetti, producendo così una vera percezione aumentata della realtà.

Il dispositivo potrà essere inoltre utile come ausilio alla diagnostica clinica basata sulla palpazione permettendo infatti di aggiungere alle informazioni tattili soggettive raccolte dal medico una misura oggettiva che quantifichi per esempio la percezione del medico della tensione muscolare del paziente, la presenza di un nodulo ma anche di eseguire una prima analisi chimica dell’essudato.

Un esempio di applicazione è visualizzatile all’indirizzo https://youtu.be/DGUkYqmt-5Q

 

Il cerotto-termometro

Il dispositivo si presenta come un sottile cerotto trasparente, simile a quelli utilizzati per curare le piccole abrasioni dei piedi, resistente all’acqua e traspirante. Nel cerotto è integrata un’antenna e un minuscolo microchip delle dimensioni di pochi millimetri che contiene un codice identificativo, una piccola memoria riscrivibile e un sensore di temperatura capace di rivelare variazioni di un quarto di grado fino a 65°C. Quando il cerotto si trova all’interno di un campo elettromagnetico, l’antenna raccoglie l’energia necessaria ad alimentare il microchip che si accende e, a comando, esegue una lettura di temperatura del corpo che lo ospita e trasmette il dato verso un dispositivo interrogante fino alla distanza di un paio di metri. Quest’ultimo può essere un lettore portatile, grande quanto un portachiavi, oppure un varco simile a quelli che si trovano ormai in molti negozi per il controllo degli oggetti acquistati.

Il cerotto è stato già sperimentato nell’attività sportiva per valutare l’incremento di temperatura durante lo sforzo fisico ed è ora in fase di perfezionamento. La procedura di comunicazione utilizzata è standard ed è la stessa delle nuove etichette elettromagnetiche (chiamate tag RFID) che sono ormai utilizzate nella logistica degli indumenti, libri e farmaci a complemento dei codici a barre. “Sarebbe a questo punto possibile immaginare di equipaggiare i passeggeri negli aeroporti con il sensore epidermico – commenta il prof. Marrocco – e controllare poi la loro temperatura nei vari momenti di transito, per esempio durante gli usuali controlli di sicurezza senza insormontabili cambiamenti alle procedure già in essere. Negli ospedali e nei centri di soccorso da campo, le unità di lettura potrebbero essere installate nelle porte di accesso dei vari locali in modo da monitorare lo stato di salute di medici e infermieri che interagiscono con pazienti già contagiati, individuando ed isolando situazioni critiche che richiedano maggiori approfondimenti”. 

“L’interazione positiva tra elettromagnetismo, scienza dei materiali, informatica, medicina, meccanica ed elettronica, che potremmo definire Elettromagnetismo Pervasivo – commenta il prof. Marrocco nel suo sito http://www.pervasive.ing.uniroma2.it – permette di immaginare e realizzare nuove famiglie di radio dispositivi privi di batteria che potranno sostenere la trasformazione di Internet nella Rete delle Cose (Internet Of Things), dove ogni oggetto fisico, equipaggiato con un’opportuna etichetta elettromagnetica, sarà interconnesso alla rete e interrogabile da remoto. Queste nuove entità, per metà reali e metà digitali, aumenteranno la nostra percezione della realtà, fornendo dati preziosi per il miglioramento della salute dell’uomo, la preservazione dell’ambiente e per un uso più razionale delle risorse energetiche”.

 

 

Corriere della Sera – ed. Milano (6/06/2017) – Christian, Gaia e Marco: tre dei progetti premiati

A Milano si è concluso il contest lanciato dalle Fondazioni Accenture, Eni e Feltrinelli: 180 le proposte arrivate, dopo le selezioni sono stati individuati 18 vincitori.
Il concorso legato ai temi della sostenibilità lanciati dall’ONU.

Marco: «L’acquario che nutre i pomodori e fa risparmiare acqua»

Cosa c’entrano i pomodori, le trote e le case, popolari o no? Marco Falasca, 26 enne laureato all’Università romana di Tor Vergata (facoltà di ingegneria e tecnica del costruire) ha la risposta che si chiama «Mac». il progetto è centrato sul metodo di coltivazione acquaponico, quello che consente di ridurre in percentuali molto significative il consumo idrico in agricoltura. Falasca insieme a due colleghi ha realizzato un software parametrico per valutare l’installazione del sistema nelle facciate e nei balconi. Più o meno funziona così: si installano sui balconi o al piano garage grandi vasche di pesci ornamentali o commestibili (carpe, trote ma anche gamberi rossi) che con i loro rifiuti fertilizzano le piante di vegetali collegate alla vasca stessa. Queste filtrano e rimandano acqua depurata ai pesci e quindi il circuito si chiude autosostenendosi e senza bisogno di altra acqua. «Possiamo garantire un risparmio fino al 90 per cento», garantisce Falasca che ora potrà fare uno stage alla Mm, la società milanese che gestisce le case popolari del Comune per valutare l’applicabilità del modello. Certo, «serve un partner che ci consenta di avviare un progetto su scala industriale», sottolinea il giovane ingegnere che nel frattempo ha vinto un contest di Confcooperative Roma con lo stesso progetto. L’appello è lanciato.

Marco Falasca, 26 anni, laureato a Tor Vergata alla facoltà di Ingegneria e tecnica del costruire: ha ideato un metodo di coltivazione urbana con poco dispendio di acqua

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CINI Smart Cities University Challenge 2017: ingegneria informatica arrivata in finale

Sono arrivati alla finale. Il team di studenti di Ingegneria Informatica dell’Università di Roma “Tor Vergata” ha partecipato al CINI Smart Cities University Challenge, che da ultimo si è svolta all’Università dell’Aquila, il 23 e 24 aprile, arrivando in finale e presentando la propria soluzione davanti ai partecipanti alla conferenza internazionale ACM/SPEC ICPE 2017 .

Durante la finale, che si è tenuta a L’Aquila nei giorni 23 e 24 aprile, venti studenti provenienti dalle sei università partecipanti alla fase finale hanno dato vita ad un hackaton per l’intera giornata del 23 aprile, al fine di realizzare un sistema integrato, partendo dai sistemi realizzati da ciascun team nelle precedenti fasi della challenge. Il sistema, la cui realizzazione è stata ispirata da una traccia fornita dagli organizzatori, ha riguardato la gestione intelligente di una città italiana in occasione di un evento di interesse nazionale, come la Festa della Repubblica a Roma.

Durante l’evento, i servizi di Smart City hanno avuto il compito di ottimizzare la logistica, gestendo in modo efficiente i mezzi di trasporti pubblici e distribuendo i posti di parcheggio tra gli automobilisti in arrivo nella città. Inoltre, per controllare i flussi di persone, la città è stata suddivisa in zone con diversi livelli di accesso, così da distribuire in modo omogeneo le persone nelle diverse zone di interesse. Per lo svolgimento dei festeggiamenti in modo sostenibile e environment friendly, la Smart City impiega un servizio di ottimizzazione dei consumi energetici legati all’illuminazione cittadina ed un servizio di smaltimento efficiente dei rifiuti.

Una città si definisce intelligente, smart, quando è in grado di sfruttare a proprio vantaggio la grande quantità di dati prodotti ogni giorno all’interno del suo territorio, per ampliare i servizi e migliorare la qualità della vita dei propri cittadini. Le possibilità di sviluppo di nuovi servizi nel contesto delle smart city sono innumerevoli. Ad esempio, le esigenze collettive dei cittadini potrebbero regolare in modo automatico gli orari di apertura delle librerie, differenziare le frequenze dei trasporti pubblici per zone ed eventi di interesse, ottimizzare i consumi di energia elettrica favorendo l’utilizzo delle energie rinnovabili, o individuare le violazioni di proprietà e dei regolamenti.

Per concretizzare l’idea di smart city attraverso le esigenze dei giovani cittadini informatici, l’Università dell’Aquila in collaborazione con il laboratorio nazionale Smart City and Communities del CINI (Consorzio InterUniversitario Nazionale per l’Informatica) ha organizzato quest’anno la prima edizione della competizione nazionale CINI Smart Cities University Challenge tra le diverse università italiane afferenti al laboratorio CINI.
La competizione si è sviluppata in più fasi, ha avuto inizio ad ottobre 2016 e si è conclusa il 24 aprile 2017 all’Aquila, in concomitanza con la conferenza ACM/SPEC ICPE 2017 .
Durante la prima fase, i docenti di alcune università del laboratorio Smart City hanno definito un progetto su uno dei temi individuati dall’organizzazione (mobilità, trasporti, illuminazione pubblica, gestione rifiuti, gestione parcheggi, …) e hanno avviato una hackaton locale per selezionare il gruppo da portare alla sfida nazionale.

Qui a “Tor Vergata”, la sfida locale è stata proposta dalla prof.ssa Valeria Cardellini e dal prof. Francesco Lo Presti, con la collaborazione dell’Ing. Matteo Nardelli, come progetto del corso di Sistemi Distribuiti e Cloud Computing della Laurea Magistrale in Ingegneria Informatica. Il progetto proposto verteva sulla realizzazione di un sistema di monitoraggio e controllo dell’illuminazione pubblica, con l’obiettivo di ottimizzare il consumo energetico.

La sfida locale ha avuto inizio a gennaio e, nonostante i tempi ristretti, diversi studenti hanno partecipato con entusiasmo alla competizione. Tra questi si sono distinti i tre gruppi composti dagli studenti: Matteo Adriani, Davide Magnanimi, Mattia Ponza e Fabiana Rossi; Ovidiu Daniel Barba, Laura Trivelloni e Emanuele Vannacci; Alessio Moretti e Federico Vagnoni.

Mentre era ancora in corso la sfida locale, l’Università di Roma “Tor Vergata” si è dovuta confrontare il 20 marzo con le altre università nella prima fase di valutazione della competizione CINI. Il nostro ateneo ha presentato una soluzione concettuale che, sebbene valida, ha pagato il confronto con soluzioni già finalizzate che sono state presentate da altre università in gara. Grazie al gioco di squadra da parte degli studenti di Ingegneria Informatica, l’Università di Roma “Tor Vergata” è passata alle fasi finali del CINI Smart City University Challenge 2017, insieme alle squadre delle università dell’Aquila, Milano-Bicocca, Sannio, Parma e Ca’ Foscari di Venezia.

“Il team di Tor Vergata ha integrato la propria soluzione con quelle proposte da altre università – commenta la prof Valeria Cardellini – controllando l’illuminazione pubblica cittadina, l’illuminazione delle aree di parcheggio e delle banchine d’attesa dei mezzi pubblici. I nostri ragazzi non si sono lasciati intimorire dallo svantaggio iniziale ed hanno condotto in modo superlativo le fasi di integrazione della soluzione, ricevendo il punteggio migliore nella seconda e terza fase del challenge ed una menzione di merito da parte degli organizzatori del challenge. Durante la mattina del 24 aprile, i rappresentanti dei sei team hanno presentato in inglese i singoli sistemi realizzati e il sistema integrato ad una platea di più di cento ricercatori in una sessione plenaria della conferenza internazionale ICPE. A seguito delle votazioni finali, la challenge è stata vinta a pari merito dall’Università Bicocca di Milano e dall’Università del Sannio. Per il nostro team è stata un’esperienza davvero stimolante e formativa!”.

I docenti hanno proposto il progetto sul controllo e monitoraggio dell’illuminazione pubblica agli studenti del corso di Sistemi Distribuiti e Cloud Computing e tra i 4 gruppi di studenti che hanno accettato di partecipare al termine della fase locale ne è stato selezionato uno per partecipare alla fase finale a L’Aquila, costituito dagli studenti Adriani, Magnanimi, Ponza e Rossi.

Come funziona il sistema di monitoraggio dell’illuminazione pubblica
Il sistema di monitoraggio dell’illuminazione pubblica sviluppato dal team è in grado di rilevare in tempo reale lo stato di funzionamento dei lampioni, notificando la presenza di lampade guaste o prossime all’esaurimento. Inoltre il sistema è in grado di monitorare il consumo medio dei lampioni, aggregandone statistiche su base temporale (ad esempio, il consumo nelle ultime 24 ore) e spaziale (il consumo di una specifica strada o area urbana). I risultati ottenuti dal sistema di monitoraggio vengono presentati su una dashboard, dove è possibile individuare la percentuale di strade di una città con consumo maggiore rispetto al consumo medio dell’intera città. Per quanto riguarda il controllo dell’illuminazione pubblica, il sistema è in grado di adattare in tempo reale l’intensità luminosa dei lampioni di una città sulla base dell’intensità della luce naturale, degli indici di consumo energetico e del tasso di congestionamento dell’area da illuminare (secondo il livello di traffico o il grado di occupazione di un parcheggio).

I giudici della competizione sono stati i referenti delle Università che hanno partecipato con i loro team:
Università degli Studi dell’Aquila (responsabili: Daniele Di Pompeo e Henry Muccini)
Università di Milano Bicocca (responsabili:Leonardo Mariani e Daniela Micucci)
Università di Parma (responsabili: Francesco  Zanichelli e Michele  Amoretti)
Università di Roma Tor Vergata (responsabili: Francesco Lo Presti e Valeria Cardellini)
Università degli Studi del Sannio (responsabili: Eugenio Zimeo)
Università Ca’ Foscari, Venezia (responsabili: Claudio  Silvestri e Agostino  Cortesi)
Inoltre nella fase finale anche gli studenti partecipanti delle diverse sedi hanno espresso un voto.

Ulteriori dettagli e foto sono disponibili su:
– FB: https://www.facebook.com/events/1407383192646989/ (foto, video, e slide)
– YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=XHNSWy9iIBk&t=30s (discussione informale del 23 Aprile)
– SlideShare: https://www.slideshare.net/henry.muccini/cini-smart-city-university-challenge  (slide finali)

La Scuderia Tor Vergata è il team ufficiale di Formula SAE dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

 

Lorenzo Pescosolido, studente di Ingegneria meccanica e teamleader di Scuderia Tor Vergata/Official Formula SAE Team, illustra l’esperienza importante di far parte della Scuderia Tor Vergata, il cui lavoro straordinario è così coinvogente da attirare l’attenzione di tutta la popolazione studentesca ogni volta che la monoposto “esce dai box”…

 

La Formula SAE, o Formula Student, organizzata dalla  Society of Automotive Engineers – SAE International – a partire dal 1981, è una competizione internazionale di design ingegneristico, aperta ai soli studenti universitari.

In genere ad ogni evento partecipano circa 100 team, divisi nelle classi combustion (dedicata ai veicoli con motore a combustione interna) ed electric (aperta invece ai prototipi elettrici).
In questa competizione il team deve progettare, realizzare e testare in pista un prototipo di autovettura a ruote scoperte, che abbia elevate performance in termini di accelerazione, tenuta laterale e maneggevolezza e che abbia buoni margini di profitto per l’eventuale azienda che voglia metterlo in produzione.

La Formula SAE ha una formula molto libera, gli unici vincoli a livello progettuale sono:

⇒la cilindrata massima (710 cc),
⇒il diametro massimo del condotto di aspirazione (dai 19 ai 20 mm, in base al tipo di carburante),
⇒il tipo di carburante da utilizzare (RON 98 o E85, una miscela di etanolo per i veicoli a combustione),
⇒il passo minimo della vettura (1525 mm),
⇒l’escursione minima degli ammortizzatori (52 mm),
⇒le dimensioni dell’abitacolo (deve poter ospitare il 95 percentile della popolazione mondiale, nonché sono assengate le dimensioni minime dello stesso),
⇒le dimensioni minime dei tubi del telaio (o dei pannelli in carbonio per i telai monoscocca in composito) e una serie di norme per garantire la massima sicurezza del pilota.

L’evento di Formula SAE si svolge ogni anno in un posto diverso, dura generalmente 4 giorni ed è diviso in una serie di prove, che vogliono valutare la validità complessiva del progetto. La scuderia ha sempre partecipato all’evento italiano e per tre volte all’evento tedesco (abbiamo saltato solo il 2015). In genere viene portata all’evento una squadra che va dai 25 ai 30 team members, scelti in base alla dedizione e all’impegno mostrati durante l’anno.

Come funziona:

Le prove si dividono in statiche e dinamiche. Le prove statiche sono: Cost & Manufacturing Analysis, Engineering Design Presentation e Business Presentation. Quelle dinamiche: Acceleration, Skid-Pad, Autocross, Endurance/Efficiency. Si accede alle dinamiche dopo aver passato le ispezioni tecniche iniziali.

Per ogni prova viene assegnato un punteggio ai vari team e viene stilata una classifica; la classifica generale dell’evento viene stilata considerando, per ogni team, la somma dei punteggi delle varie prove; il team con il punteggio più elevato vince l’evento; il punteggio massimo che può essere realizzato è di 1000 punti.

Ogni evento viene valutato indipendentemente l’uno dall’altro e a fine anno viene stilata una classifica di ranking mondiale basata sui punteggi ottenuti dai team negli eventi fatti negli ultimi tre anni.

La Scuderia Tor Vergata, dunque, partecipa agli eventi di Formula SAE per l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.
Il team è composto da circa 40 persone. Per farne parte è necessario presentare la propria candidatura. Dopo un test iniziale, basato sostanzialmente su basilari conoscenze ingegneristiche e sul regolamento della competizione e utile per valutare la preparazione, si affronta un colloquio con la dirigenza del team, in modo da individuare il reparto in cui poter iniziare a lavorare. I piloti vengono selezionati attraverso una serie di test teorici e pratici al fine di valutare la preparazione e la dimestichezza con la guida di monoposto da competizione. Ogni membro del team, piloti inclusi, viene costantemente valutato in merito all’impengo e alla dedizione mostrata durante l’anno.

Gli studenti e le studentesse che fanno parte del team saranno in futuro affiliati all’associazione senza scopo di lucro, STV-Scuderia Tor Vergata, che ha sede legale nel dipartimento di Ingegneria Industriale e ha come scopo la partecipazione dei ragazzi (e delle ragazze!) alla Formula Student come team dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Il fatto che si sia formata un’associazione agevola la gestione delle donazioni da parte di aziende che vogliono supportarci. Gli sponsor possono collaborare sia a livello economico, tramite donazioni o scontistiche sugli  acquisti, nonché tramite supporto tecnico, sia in termini di consulenza, che di prodotti e servizi veri e propri. L’ateneo contribuisce con fondi e concedendoci i locali in cui progettiamo e lavoriamo alla realizzazione del prototipo.

Partecipare alla Scuderia Tor Vergata è un’occasione per poter mettere in pratica tutte le nozioni apprese durante il corso di studi per imparare a lavorare in gruppo rispettando scadenze improrogabili e a confrontarsi con persone provenienti da vari campi di studio.

 

Visita il sito web di Scuderia Tor Vergata